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Ieri, al Dipartimento di Ingegneria "Enzo Ferrari" dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, si è parlato di interazione uomo macchina per l'Industria 4.0. Ma l'evento principale è stato la presenza di Donald Norman.

Per me è stata, se non ricordo male, la terza volta che lo sentivo. La prima ad Ivrea, nell'ottobre del 2003, e la seconda all'FBK di Trento nel marzo 2004 (Ne parla Maurizio Boscarol in questo articolo).

Le sensazioni

Risentirlo fa sempre piacere. Le sensazioni che mi ha trasmesso sono quelle di una persona con un forte carisma, ma sostanzialmente un carisma calmo, capace di gestire la sala con ironia e autorevolezza. Inoltre, ha dato ennesima dimostrazione di come sia possibile raccontare in maniera semplice concetti piuttosto complessi.
Infine, mi è sembrato che lui volesse stare lontano da tutto ciò che appare nuovo, e che entusiasma molti designer appassionati di tecnologia e di buzzwords. Le cose che ha detto ieri avrebbe potuto dirle 15 anni fa, salvo un paio di esempi (il suo smartphone la cui batteria si sta squagliando, e che lui non sa come far riparare). A me questa cosa piace molto, perché trasmette implicitamente l'idea che ciò che conta non teme il giudizio del tempo, e che molto di ciò che appare nuovo esisteva anche qualche lustro fa.

I messaggi

Riporto alcune pillole, in forma di appunti.

L'automazione

L'automazione funziona solo se funziona sempre. Se, nei momenti difficili, un aereo super automatizzato perde il controllo della situazione, il pilota può dire solo

oh, shit

Nella hmi (human machine integration) spesso si ha la sensazione che l'essere umano entri in gioco solo quando qualcosa non può essere fatto dalla macchina. È la persona che si adatta ai limiti della macchina.

I robot

io in casa ho un robot. È la mia lavastoviglie. È, probabilmente, lo strumento più tecnologico che ho in casa: ha un display, un processore, dei sensori, degli effettori, dei programmi, la capacità di adattare il lavaggio in base ad alcune misurazioni.

Norman ci ricorda come sia difficile definire il confine, il livello di complessità che trasforma un artefatto in un robot. Resta il fatto che uno strumento, robot o meno che sia, ha senso solo se contribuisce a migliorare la vita delle persone.

I social network

I social network, in sè, non sono buoni o cattivi. Vi sono zone rurali dell'Africa in cui l'avvento del telefono cellulare, attraverso gli sms, ha permesso ai contadini di informarsi sull'andamento del mercato e di spuntare prezzi di vendita migliori. Il problema, con i social, è che sfruttano a loro vantaggio alcune caratteristiche dell'essere umano. Gli umani sono curiosi, sono portati ad esserlo perché, nel corso dell'evoluzione, monitorare l'ambiente aumentava la probabilità di sopravvivenza. Ma oggi questa curiosità ci porta ad essere facilmente distraibili, anche in contesti in cui sarebbe fondamentale rimanere concentrati:

focus is hard work

Le emozioni

Le emozioni positive sono importanti, ma è sbagliato pensare che la nostra vita debba essere fatta di sole emozioni positive. I momenti migliori, per una persona, sono quelli in cui riesce a superare degli ostacoli piuttosto difficili. È in questi casi che si innesca lo stato di esperienza ottimale, il flow.

La depersonalizzazione delle cose

La produzione di massa ha reso tutto uguale, e tutto depersonalizzato: racconta che si diverte a fotografare negozi in giro per il mondo, e a chiedere agli amici "dove si trova questo posto?" e, sempre più spesso, diventa difficile distinguere un mall statunitense da un negozio italiano da uno giapponese o sloveno.

Il ruolo dei prodotti nella vita delle persone

I prodotti non sono creati per soddisfare i bisogni. Anche quando le intenzioni di designer e imprenditori sono buone, i modelli di business sono spesso tossici. Il risultato è che le persone si ritrovano indotte a comperare cose che non necessariamente migliorano la loro vita.
Norman ha sostenuto, un paio di volte, che bisognerebbe ripartire da zero, rifare tutto in vista del benessere delle persone. È un concetto che entra molto in risonanza con quello che ho raccontato a Torino sull'eudaimonia nel design.

Tutto il resto

Prima dell'intervento di Norman, Alessandro Pollini e Linda Napoletano hanno parlato del loro lavoro nell'ambito degli human factors nell'industria 4.0.

Sicuramente ho dimenticato molte cose importanti. Chi c'era, se vuole, mi faccia un promemoria.

È stata, per me, una giornata molto interessante. Risentire Norman, ma non solo. In sala (nelle due sale, io ero stato assegnato alla sala streaming, sono riuscito ad intrufolarmi di nascosto nella sala principale) c'erano parecchi miei ex studenti.
Ma soprattutto, mi ha fatto molto piacere rivedere - dopo anni - Sebastiano Bagnara, con cui ho collaborato nel progetto Index dieci anni fa, ma soprattutto il mio prof di Ergonomia Cognitiva all'Università di Padova, nel lontano 1993. Una vita fa.

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