Quando ho saputo che avrei trascorso alcuni mesi a Sassari ho cercato di capire se qui vi fosse qualcuno che balla il tango. Cercando su Facebook ho contattato Luca Losito, che mi ha segnalato uno spazio dove si fanno lezioni e, al venerdì, la milonga. Ieri sera, prima della milonga, Luca ha messo in scena un piccolo spettacolo teatrale, dedicato alla figura di Carlos Gardel. Una lettura di Luca, accompagnata dalla declamazione di alcuni testi (fra cui Borges), quattro o cinque tangos ballati da Natalia e Juan (i padroni di casa) e la lettura - in spagnolo e tradotta in italiano - di un paio di testi di tango: Volver e Sus Ojos Se Cerraron.

Nell'assistere allo spettacolo la mia memoria non ha potuto ritornare a quella volta, a Trento, un paio d'anni fa, che inscenammo un piccolo spettacolo simile al centro sociale Bruno. Uno dei ragazzi del centro sociale lesse un testo di Borges, io lessi la mia traduzione di zero hour, Tullio ed un ragazzo argentino lessero il testo di una milonga satirica. E ballammo qualche tango. Tullio con Maddalena, io con Ilenia. Fu proprio Ilenia a pensare quello spettacolo, ad organizzarlo.

Ieri eravamo a Sassari, non a Trento. Ma quando Luca ha iniziato a parlare delle origini del tango, di Gardel, della sua vita, della sua morte, dei pellegrinaggi alla sua tomba, della vecchina che ogni giorno cambia i fiori ed infila una sigaretta fra le dita della sua statua; quando Luca ha detto che una persona è viva finché qualcuno si ricorda di lei, e che dunque Gardel è, dopo tanti anni, più vivo che mai, non ho potuto non commuovermi.

Il tango può sorprenderti ogni volta. È uno dei motivi della sua grandezza; quando racconto che ballo il tango, le persone lo associano alla sensualità, alla seduzione. È vero. Eppure il tango parla di nostalgia, di fallimenti, di perdite. Il tango parla di morte. Me ne sono reso davvero conto solo ieri sera.

La nostra società non parla di morte. Mai. Non siamo più abituati ad affrontare l'argomento. Ci spaventa, e questo è normale; ci imbarazza, e questo è tragico. Tragico perché ci impedisce di condividere il peso del lutto, perché ci troviamo costretti a "non dimenticare" e, contemporaneamente, a non pensare. Io stesso mi sento vittima di questo imbarazzo: durante le vacanze di natale ci eravamo ripromessi di andare a trovare la famiglia di Ilenia, però non l'abbiamo fatto. Certo, io avevo parecchi impegni e impedimenti, però c'è anche il fatto che non me la sono sentita.

Il tango parla anche di morte. Sarà inevitabile, per me, ricordare Ilenia ogni volta che il tango parlerà di assenze, di dolore. Sarà inevitabile, e commovente. Eppure sarà importante, perché mi permetterà di entrare in contatto con quelle emozioni che altrimenti difficilmente trovano espressione; e piangere per Gardel, o per Malena, sarà meno sconveniente che piangere per Ilenia.

Luca, ieri sera, ha insistito sul fatto che il tango esprime la psicologia dell'Argentina tutta. Io penso che, come altre espressioni artistiche popolari, nate dal basso, esprima dei concetti sostanzialmente universali. E ringrazio dunque non solo il tango, ma tutti quegli artisti (penso, ad esempio, alla Marinella di De Andrè, in questi giorni tanto celebrato) che ci permettono, cantando la morte, di ritornare in contatto con quelle emozioni che la nostra cultura vorrebbe seppellire in fretta.

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