Da alcuni anni, oramai, mi sono appassionato al tema delle motivazioni, quelle forze che ci spingono a fare quello che facciamo. Non solo trovo l'argomento intrinsecamente interessante, ma sono convinto che le motivazioni siano alla base dello user experience design. Per questo motivo le sto studiando, e per questo ne ho parlato al WIAD Palermo 2015 | YouTube, e ne parlo nel mio insegnamento. Soprattutto quando insegno, adotto un approccio molto analitico: distinzione fra abitudini, motivazioni estrinseche (gli scopi) ed intrinseche (i bisogni), la lista dei bisogni, le loro caratteristiche.

Qualche mese fa ho letto Il vecchio e il mare, e mi sono reso conto che Ernest Hemingway riesce a raccontare le motivazioni molto meglio di me.

Attenzione: spoiler: se non hai ancora letto il romanzo, fallo prima di proseguire nella lettura. Poi torna, e leggi il resto.

Dicevamo, nel leggere il romanzo, mi sono reso conto di come la storia costituisca un'ottimo esempio di analisi delle motivazioni. Ma partiamo dalla trama.

La trama

Il racconto parla di Santiago, un vecchio pescatore Cubano che da più di ottanta giorni non riesce a prendere un pesce. Ottantaquattro, per la precisione. Decide allora di avventurarsi al largo, lungo la corrente del Golfo, e riesce ad agganciare un gigantesco pesce vela, lungo mezzo metro in più della sua barca. Da quel momento, inizia una lotta fra il vecchio ed il pesce, che durerà tre giorni e tre notti, finche il pescatore riesce finalmente a sfiancare e catturare la preda. L'animale, però, è troppo grande per essere caricato sulla barca del vecchio, che decide di legarlo fuori dalla barca per riportarlo a casa. Nel tragitto, però, il pesce viene sbranato dagli squali, e quando l'imbarcazione rientra nel porto, del pesce non rimane che lo scheletro.

Ne è valsa la pena?

Nel leggere le ultime pagine del romanzo, mi sono sorpreso a pensare che aver portato a casa lo scheletro fosse quasi altrettanto importante che portare il pesce integro. Perché? direte voi. Lo scopo del pescatore è di pescare i pesci per portarli in porto e venderli e mangiarli, ma lo scheletro di un pesce, per quanto grande e maestoso, non si può né vendere né mangiare. E dunque l'immane fatica e i rischi corsi dal vecchio sono stati del tutto vani, giusto?

Motivazione estrinseca e intrinseca

Giusto, se ragioniamo esclusivamente in termini della motivazione estrinseca, ovvero quelle azioni orientate ad uno scopo finale. Se lo scopo finale viene meno, l'azione è un fallimento. Il vecchio lotta, per tre giorni e tre notti, e porta a casa uno scheletro. Lo scopo è mancato, tutto è stato vano.

Quando spiego le motivazioni ai miei studenti, racconto che il modo più facile per capire se la motivazione è estrinseca è chiedersi se l'attore delegherebbe volentieri l'azione. Credo che ognuno di noi sarebbe ben felice di mandare qualcun'altro dal dentista al posto nostro. Ci andiamo, dal dentista, per curare una carie o per fare una pulizia, ma potendo ne faremmo volentieri a meno.

E allora proviamo a chiederci: Santiago, sapendo come sarebbe andata, avrebbe rinunciato a quella fallimentare esperienza? Leggendo il romanzo, sono convinto che no, non avrebbe rinunciato.

Definitivamente salao

Il co-protagonista del romanzo è Manolin, un ragazzo amico del vecchio, che lo accompagnava a pesca. Dopo i primi quarantagiorni di pesca infruttuosa, però, i genitori del ragazzo gli avevano praticamente proibito di continuare ad andare con il vecchio, che "ormai era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna".

Ebbene, il primo, forse il più importante risultato che il vecchio porta a casa, assieme alla carcassa del pesce, è la dimostrazione che no, non è salao: dimostra ai genitori del ragazzo, a tutti gli altri pescatori, ed in fondo anche a se stesso, che lui è ancora un ottimo pescatore, più forte della sfortuna.

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